Cronache da una scuola allo stremo

Quale sostegno?

Da qualche giorno lavoro in una scuola superiore come docente di sostegno di un ragazzo con sindrome di Down, lo chiameremo Luigi. 

Il primo giorno che sono entrata in classe Luigi era alquanto scocciato per la mia presenza. La professoressa curricolare voleva a tutti i costi che mi sedessi accanto a lui, perché avermi in piedi a camminare tra i banchi la metteva a disagio. Mi sono seduta a un banco vuoto a debita distanza, nemmeno questo le andava bene perché vederlo da solo la metteva a disagio. 

Allora con molta calma ho chiesto a Luigi permesso e mi sono seduta al banco affianco al suo. Lui si è schiacciato contro il muro per starmi il più lontano possibile, nonostante mi avesse detto di sì. 

Ho parlato con la docente che sostituisco (solo per qualche ora perché è un allattamento). Mi ha spiegato che ci sono due ragazzi con sostegno in classe, Luigi e Filippo, che in questi giorni è assente. 

E che sì, certo, io sono di sostegno “sulla classe”, però di fatto sono “su Luigi”. Cioè, insomma, certo che l’insegnante di sostegno non è DEL ragazzino con disabilità, però deve lavorare con lui, sedersi accanto a lui e occuparsi di lui. Ma certo, è “sulla classe”. Però io seguo Luigi.

Va bene.

(In realtà non va bene per nulla e da nessun punto di vista, ma posso mettermi a litigare con un intero CdC, io che non ho nemmeno uno straccio di specializzazione sul sostegno?)

Luigi ha un programma differenziato, quindi non prenderà il diploma ma un attestato. Filippo invece ha un semplificato, quindi prenderà il diploma a tutti gli effetti. 

La soluzione che lei adotta per entrambi gli alunni è creare dei test a risposta multipla con nozioni che ritiene “semplici da imparare” nelle diverse discipline. Per esempio su Italiano un bel test in cui si chiede se Verga sia di Catania, Mantova o Pisa. 

Per fortuna c’è anche un altro collega di sostegno in classe. 

Parlo anche con lui e finalmente parliamo di come costruire autonomia e competenze di base per una vita adulta funzionale. Anche lui è al primo anno di sostegno, conosce Luigi da due mesi e non ha nessun materiale a disposizione. Però ora almeno siamo in due a cercare di inventarci un lavoro. 

L’altro giorno il professore di Storia rende le verifiche corrette a tutta la classe. I ragazzi sono eccitati perché, maggiorenni o meno, professionale o no, i voti fanno tornare tutti bambini all’asilo che aspettano la stellina d’oro della maestra.
Le verifiche arrivano per tutti tranne che per Luigi.
Perché Luigi, ovviamente, ha fatto una verifica un po’ diversa e il professore aveva bisogno di consultarsi con noi di sostegno prima di valutarla.
Ho impiegato venti minuti a calmare Luigi che ha espresso una livello di frustrazione, stanchezza e umiliazione incredibile.
Voleva essere trattato come tutti gli altri, voleva avere la verifica insieme ai compagni, essere parte di questo rito collettivo della restituzione della valutazione.

Racconto questa storia perché Luigi e Filippo si meriterebbero di meglio. 


Meglio dei colleghi che vivono la sua presenza in classe con il tatto e la sensibilità di cararmati in un negozio di cristalli, meglio della collega che pensa che imbottirli di nozioni curricolari possa servire a qualcosa, meglio di me e dell’altro collega che arranchiamo inventandoci un lavoro a botte di buonsenso e tanta speranza. 

Luigi e Filippo meriterebbero personale qualificato e competente, una scuola che avesse materiali e risorse a disposizione su misura per loro. Queste sono le componenti di una scuola realmente inclusiva. Tutto il resto sono solo parole.