Cronache da una scuola allo stremo

Chissà se ha senso

L’altro giorno parlavo con una mia ex collega. 

Mi ha chiamata ed era arrabbiata.

“Perché non hai fatto i corsi?” mi ha chiesto.

Ho provato a spiegarle, ma non è servito a molto. 

“Tu non hai capito” mi ha detto “devo fare tutto: qualsiasi cosa esca: TFA, specializzazioni, concorsi… tu fai sempre tutto”.

E già. 

Fai sempre tutto. 

Salta nel cerchio, lecca la scarpa, tira uno schiaffo a quel tizio e lava questa latrina. 

Poi mi chiedo come abbiamo fatto a finire in questa situazione, ecco come! 

Abbiamo sempre fatto qualsiasi cosa pur di raggiungere quella benedetta cattedra. 

Il mio caro vecchio telefono che, bene o male, mi sta accompagnando in queste disavventure

E così siamo diventati un corpo stanco, svilito, sottopagato, un progettificio sempre in emergenza, alimentato a briciole dallo stato (li avete visti i FIS di recente?) che deve elemosinare bandi per avere i computer per gli alunni. 

E così che la gente ha smesso di vederci come dei professionisti altamente qualificati, e ha iniziato a percepirci come dei privilegiati parassiti: perché noi è questa la dignità che abbiamo dato a noi stessi. 

Se parlo con i colleghi sull’orlo della pensione o già in pensione, tutti, nessuno escluso, mi raccontano di questo lento declino, della burocratizzazione di ogni processo e di come, passo passo, abbiamo sempre fatto tutto. 

Il ministero dice “salta”, tu salti. 

Ed ecco qua perché io i corsi abilitanti non li faccio. 

Perché prima o poi dobbiamo dire “no”. 

Ho due lauree magistrali e ho preso i 24 CFU a suo tempo. 

Ho fatto abbastanza. 

Se proprio devo formarmi ancora, che sia in un modo accessibile e democratico, che sia attraverso un’altra magistrale, piuttosto, dove l’accesso è garantito dagli scaglioni ISEE. 

Perché è questo il punto: questi corsi trasformano l’accesso all’insegnamento in una questione antidemocratica e anti meritocratica. 

E la SIS non era meglio. E il TFA non era meglio.

Eh, quindi?

Siccome abbiamo accettato delle schifezze in passato dobbiamo accettarle ancora?

Se hai 3000€ puoi accedere alla prima fascia, altrimenti no. 

E quando tu ne guadagni 1600 al mese, poterne spendere 3000€ non è scontato per nulla! Esistono famiglie monoreddito, esistono giovani che hanno già mutui sulle spalle (come me). 

Noi stiamo accettando questo principio classista e antidemocratico senza battere ciglio. 

Per non iniziare nemmeno a parlare della dignità di professionisti che hanno fatto questo lavoro per anni, che lo hanno imparato sul campo, un pezzettino alla volta, che si sono fatti i loro bravi cordi di formazione ogni anno, che la prima volta sono entrati in aula senza mezza indicazione, registro in mano, tanta speranza e nient’altro, e ora, solo ora, drammaticamente ora, a qualcuno viene in mente che era il caso di dargli due elementi due di didattica e di psicologia dello sviluppo, affiancargli un tutor e fargli fare un anno di prova. 

Non è un po’ tardi?

È così strano che io dica “no”? 

E questo mi porta a un’altra questione: ha senso che io dica “no” se nessuno sembra ascoltarmi o sentirmi? 

Quello che ci stanno insegnando le flottiglie in viaggio per Gaza è che anche la battaglia più folle ha senso se trova consenso. 

Con l’opinione pubblica alle spalle, con le masse in piazza, si può piegare perfino un governo lontanissimo dalla propria sensibilità e cambiare le cose.

Di conseguenza, anche la battaglia migliore, senza il consenso di nessuno, perde significato.

Quindi se ogni collega che incontro non capisce il senso del mio rifiuto, mi vede come una matta testona, una bastian contraria o forse, pur mancando il coraggio di dirmelo, una pigra svogliata, ha senso continuare a rifiutare questo sistema?

Forse è solo che mi manca stare in classe, mi mancano i ragazzi, mi manca un ricnoscimento sociale delle mie capacità e delle mie competenze. 

Forse è solo un po’ di stanchezza.

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