
Ci sono quartieri, strade, palazzi che portano il sottotono della povertà.
Ho vissuto in molti posti diversi e li ho visti sempre, nelle città e nei paesi.
In uno di questi posti vive la famiglia di Anysha (nome di fantasia) che frequenta quella che quest’anno non è più la mia classe.
“L’unica ragazza nera della stanza”.
Mi ricordo la tensione in classe quando abbiamo affrontato la tratta degli schiavi in Storia. Le teste che si giravano a sentire “negriero”.
Nel globalizzato 2025 la “n-word” la conoscono anche i dodicenni e sanno benissimo che è tabù.
Ma lo sanno cosa vuol dire essere l’unica ragazza nera in classe?
Io no.
Anysha a scuola andava bene (e non penso la cosa sia cambiata). Non eccellente, ma di certo sopra la media. Questo nonostante i vestiti troppo grandi, lo zaino troppo vecchio (fino a che ne ha vinto uno a un concorso di poesia) e l’astuccio troppo vuoto.
Anysha disegna benissimo, ma davvero benissimo. E da grande vuole fare l’architetta.
Non inizio nemmeno a dirvi perché questo sia un problema.
I costi dell’università, dei materiali… Anysha è nata in una famiglia troppo povera per desideri così ricchi.
L’anno prossimo, per esempio, dovrebbe prendere un autobus per andare in un liceo, ma i soldi per l’autobus non ci sono.
Figuriamoci tutto il resto.
Anysha vive una di quelle povertà inaccessibili a me, incomprensibili e assolute. Vive in un mondo dove si possono non avere scarpe, dove mangiare può essere una questione.
Questi mondi esistono nelle nostre aule e nelle nostre città e ci costringono a guardare dritto dritto negli occhi una ragazzina di dodici anni che vuole fare l’architetta, ma è nata nel mondo sbagliato.
Volevo molto bene ad Anysha, davvero.
Forse per questo una parte di me è contenta di non essere in classe con lei quest’anno.
Perché questo è l’anno dei consigli orientativi.
Penso alla collega che ha preso il mio posto e mi chiedo: che consiglio darà ad Anysha? Terrà conto delle sue capacità e delle sue aspirazioni e le consiglierà un liceo (lasciando ad altri il compito di spezzarle il cuore), o terrà conto delle possibilità economiche della famiglia?
Cosa sarebbe giusto fare?
Cosa sarebbe meglio per Anysha?
Ma soprattutto, possibile che nel 2025 l’Italia si trovi ancora nelle condizioni di metterci di fronte a una domanda del genere?
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