Cronache da una scuola allo stremo

Di quando ci si gonfiano le penne

Oggi una mia ex studentessa mi ha scritto su Instagram. 

Sì, quando escono dalla terza gli lascio i miei contatti social, scelta controversa

Ad ogni modo una mia studentessa oggi mi ha scritto su Instagram. 

“Buonasera prof, le volevo dire che ho iniziato il liceo. Bello, ma mi mancano le sue lezioni.”

Gli ho detto, intanto, di smetterla di chiamarmi prof, perché io, la sua prof, non lo sono più. 

Ho pensato a un discorso fatto col mio psicologo qualche tempo fa. 

Sì, vado dallo psicologo e penso dovrebbero farlo tutti i colleghi e le colleghe. Anzi penso che gli istituti scolastici dovrebbero mettere a disposizione lo psicologo non solo per i ragazzi e le ragazze, ma anche per noi. Non perché siamo tutti matti, anche se…ma perché facciamo un lavoro che comporta uno stress emotivo fortissimo e che, come tutti i lavori di cura, richiede una gestione delle relazioni umane molto raffinata. 

Ad ogni modo con il mio psicologo qualche tempo fa parlavamo di quanto questo lavoro ti droghi di riconoscimento. 

Io lo ammetto: quando i ragazzi mi scrivono o mi dicono queste cose mi si gonfiano tutte le penne. 

Il pavone sarà l’animale simbolo del mio orgoglio da docente

Penso succeda a molti. 

E va benissimo che succeda. 

Però…

Bisogna anche stare molto attenti a non rincorrere questa sensazione. 

Essere “il professore che ti cambia la vita” o più banalmente “andare d’accordo coi ragazzi” non può e non deve essere l’obiettivo della nostra relazione educativa. 

Ci saranno volte, ed è normale che sia così, in cui non piaceremo ai genitori, non piaceremo ai colleghi e non piacereremo ai nostri ragazzi. 

Di tutta quella terza la ragazza che mi ha scritto su Instagram è probabilmente l’unica per la quale sono stata una figura di riferimento così importante. 

Perché? 

Probabilmente per mille ragioni diverse che non è nemmeno interessante indagare. 

La questione è che là fuori ci sono altri 23 ragazzi di quella stessa classe che non mi scriveranno sui social per dirmi che gli mancano le mie lezioni. E questo è molto normale. Probabilmente qualcuno di loro sarà felicissimo di non vedermi mai più, punto. E anche questo è normale. 

E io devo ricordami che è normale, non devo cadere nella seducente trappola di rincorrere ogni giorno quello zuccherino di riconoscimento esterno. 

Devo fare attenzione perché altrimenti può capitare che io finisca a essere troppo compiacente sia con i ragazzi che coi genitori, con i colleghi o con la dirigenza e a piegare le logiche del mio agire educativo alla loro approvazione. 

Vi è mai capitato di farlo anche inconsciamente? 

Avete sempre messo le ragioni educative e didattiche davanti alla volontà di compiacere alunni, genitori, colleghi e dirigenti? 

Avete mai cambiato qualcosa della vostra didattica o della vostra relazione educativa per fare in modo di non risultare il o la docente che:

  • è troppo morbida coi ragazzi 
  • è troppo rigida coi ragazzi 
  • da troppi compiti 
  • da troppi pochi compiti 
  • fa troppe verifiche 
  • fatroppe poche verifiche 
  • spiega troppo in fretta 
  • spiega troppo lentamente. 

Accettare i feedback esterni può essere un’ottima cosa. Mettersi in discussione è sempre un’ottima cosa, ma è diverso rispetto al modificare un comportamento professionale in cui si crede per vedersi riconosciuta una competenza, un’abilità dal contesto intorno a noi. 

In una società che ci svaluta, che ci mortifica professionalmente ogni giorno, è assolutamente umano e ragionevole avere voglia di ricevere un messaggio che ci ringrazia per il nostro lavoro e che ci ricorda che sì, siamo professionisti altamente qualificati in grado di fare un lavoro difficilissimo. 

Per quanto sia perfettamente umano, però, non possiamo lasciare che questo nostro bisogno alteri le nostre capacità.

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