Non è che sia tutto male.
Lo dico volentieri per me stessa e per tutti i colleghi e le colleghe che si stanno disperando e strappando i capelli, stritolati dentro il meccanismo delle supplenze brevi.
Lo dico perché penso sia importante ricordarselo ogni tanto, che non tutto è male.
C’è molto di bello, non solo in questo nostro mestiere, ma proprio nella nostra condizione di precari del mestiere.
Oggi per dire ho preso servizio in una scuola nuova. È una bella scuola, ero curiosa di vederla da molto tempo.
Resterò per un mese.
Ho già in mente cosa far fare ai ragazzi di prima: in storia e geografia un lavoro sul metodo di studio; in antologia un laboratorio di orientamento attraverso la lettura; in grammatica un’introduzione all’analisi grammaticale.
Progettazioni semplici, che si aprono e si chiudono. Poi andrò via, un po’ come Mary Poppins.
E la cosa bella qui è che questo andare e venire permette di restare nella dimensione dell’incontro.
È vero, non approfondirò la loro conoscenza, nemmeno quella dei colleghi, non mi abituerò agli spazi della scuola, non farò in tempo a imparare tutte le regole dell’Istituto.
Però… però li avrò incontrati, sia gli studenti si i colleghi.
E ne incontrerò altri, altri studenti, altri i colleghi, altre scuole, altre regole, altre segreterie, altri spazi.
Che opportunità ricca di scoperta!
Penso a quei colleghi che sono entrati di ruolo così, senza aver mai insegnato, senza aver mai fatto supplenze in questo e quell’altro Istituto. Appena usciti dall’università corso abilitante, concorso e poi anno di prova.
Quanti incontri faranno nella loro carriera?
Quanti studenti, quanti colleghi, quante segreterie, quanti regolamenti, quante strutture didattiche vedranno nella loro vita?
Forse ne vedo di più io quest’anno.
E qui non è questione di tacche sul fucile, è questione che ogni incontro è un’occasione per mettere in discussione qualcosa che pensavi di aver capito o pensavi di aver consolidato nel tuo metodo, nel tuo approccio alla classe, nel tuo essere professionale.
Ogni nuovo incontro è una sfida differente, prima di tutto a me stessa, è una messa alla prova della prospettiva, un calcio al rischio di abituarsi, di sedersi.
Altro che corsi di aggiornamento!
Questo è un modo meraviglioso per non accontentarsi mai, per non pensare mai di saper fare questo lavoro.
Ecco, questo continuo cambiare, questo entrare e uscire costante, mi ricorda prima di tutto questo: insegnare non è una cosa che so fare, è una cosa che imparo ogni momento.
Quindi, ecco, non è tutto male, c’è della bellezza in questa precarietà, ci sono occasioni che solo noi precari abbiamo.
E di queste occasioni io sono molto grata.

