
In questi giorni sto vivendo una doppia vita.
Le mattine insegno, come ho sempre fatto, in una classe piena di preadolescenti provenienti da qualsiasi contesto e da qualsiasi famiglia.
Le nostre classi riuniscono ragazzi di famiglie italianissime, ragazzi nati qui da genitori migranti, ragazzi che hanno vissuto in prima persona la migrazione, ragazzi che vivono in comunità, che hanno vissuto abbandoni e abusi, ragazzi cresciuti da genitori impegnati ad arrabattarsi per mettere in tavola una cena, genitori che programmano la settimana bianca, genitori che non sono mai stati in un museo, genitori che non sanno leggere e scrivere o che hanno due lauree.
Ogni giorno questi ragazzi si radunano in grandi strutture, dove studiano con libri che i genitori possono permettersi di pagare, o che trovano con ausilii e aiuti. Quasi sempre, per fortuna, le scuole hanno a disposizione palestre, biblioteche, laboratori di informatica… noi docenti abbiamo a disposizione gratuitamente i libri di testo, perché le case editrici si premurano di farcene avere in grande varietà e numero, così da coltivare il mercato delle adozioni.
Nonostante questo, giustamente, da anni si sottolinea come i tagli alla scuola pubblica stiano inficiando le possibilità dell’offerta formativa e, soprattutto, creando divari tra famiglie che possono permettersi qualcosa in più, e chi non può. Si pensi alle uscite didattiche, il cui costo grava completamente sulle spalle dell’utenza, creado un’impossibilità dolorosa per tanti e tante.
Ecco, tutto questo sembra la terra della ricchezza e dell’abbondanza rispetto a quello che vedo lavorando di sera.
La sera, infatti, cambio abito ed entro nelle classi del CPIA.
Al CPIA insegno ad adulti migranti, provenienti da luoghi disparati e distanti, di età differenti, con storie alle spalle accumunate solo dalla nostalgia. Persone adulte, che hanno visto e vissuto più di quanto forse potrò mai fare io, che si rimettono su banchi troppo piccoli e imparano a leggere e scrivere, a volte per la prima volta in assoluto, a volte con lauree e qualifiche alle spalle, ma in lingue del tutto diverse.
Le mie classi del CPIA vengono ospitate proprio in una di quelle scuole medie che al mattino vengono abitate da vite del tutto diverse. Entriamo dal retro, però, dove non c’è ascensore ma tre rampe di scale antincendio che di sera non sono illuminate. Saliamo e scendiamo con le torce dei telefoni.
Al piano ci sono i bagni. Al mattino, per i ragazzi, vengono aperti quelli per maschi e femmine e quelli per i docenti; la sera, per noi, aprono solo quelli per i maschi.
I miei alunni e le mie alunne della sera a volte hanno un quaderno e una penna. Nessuno ha il libro, nemmeno io, perché a noi del CPIA le case editrici non li portano. Non abbiamo nemmeno fotocopie perchè siamo una sede distaccata e per fare le fotocopie dovrei fare quaranta minuti di macchina ad andare e altrettanti a tornare per raggiungere la sede centrale.
Almeno le cartelle non pesano.
E meno male, perché gli alunni e le alunne spesso arrivano a piedi o in bicicletta dalle colline vicine. Se sono fortunati le biciclette sono elettriche. Per noi nessun comune organizza un trasporto pubblico coordinato con gli orari della scuola.
E tutti, me compresa, pensiamo: cara grazia che il CPIA esiste, e poche lamentele.
Perchè?
Perché alla nostra comunità non dovrebbe interessare di dare a questi adulti una possibilità d’istruzione minima, di conoscenza della lingua e delle nozioni di base della nostra società?
Io ho un’idea dei perché:
- perché avere degli schiavi è comodo e per avere schiavi è importante che non sappiano difendersi, che conoscano male la lingua, che non abbiano documenti e siano illegali, ma per colpa loro che non si sono impegnati abbastanza.
- perché, se già non ci sono soldi per i nostri ragazzi al mattino, di certo non ne spenderemo per questi stranieri della sera (poco conta che i soldi ci sarebbero se non venissero spesi in altro).
- perché non sono un bacino di utenza interessante o remunerativa, non cempreranno zaini costosi, non riempiranno gli astucci di penne colorate e non finanzieranno l’indotto delle uscite didattiche. Quindi possiamo dimenticarcene.
Il CPIA però dovrebbe essere un campanello d’allarme: la scuola pubblica è messa male, tenuta in piedi dalla buona volontà del corpo docente, ma potrebbe peggiorare. Potrebbe peggiorare di molto, perché il CPIA, che, ricordiamocelo, è scuola pubblica, è già messo molto molto peggio.
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